
·Quanto spiano alla D’Annunzio·
Spiati, dalla mattina alla sera. Tutti: docenti, ricercatori, personale tecnico e amministrativo, studenti dottorandi e professori a contratto. Spiati appena accendevano il computer, tutte le mail che scrivevano i siti che visitavano le chat che usavano. E adesso l’università d’Annunzio è finita sotto inchiesta: un dossier del Garante della Privacy è stato inviato alla procura della repubblica di Chieti.
“Illecito il trattamento dei dati personali, il controllo indiscriminato della posta elettronica e della navigazione web”,
ha sentenziato il Garante che ha chiesto l’immediata sospensione dell’attività di spionaggio. Ma non finisce qui: adesso il personale docente e amministrativo chiede i danni e sta costituendo una class action nei confronti dei vertici dell’Ateneo.
“I fatti sono gravissimi – spiegano i rappresentanti sindacali Cgil Cisl e Uil Marita Agnifili, Lidia De Biasi, Gianluca Di Sante e Goffredo De Carolis – L’istruttoria del Garante ha evidenziato che l’infrastruttura tecnica adottata dall’Ateneo consentiva la verifica costante e indiscriminata degli accessi alla rete e della posta elettronica, in altre parole la nostra posta privata veniva letta, tenuta sotto controllo e conservata”.
Questi software, scrivono i sindacalisti, operavano in background con modalità non percepibile dai dipendenti, violando lo Statuto dei lavoratori.
Tutto parte da una segnalazione di alcuni dipendenti dell’Università. Inutilmente l’Ateneo cerca di giustificarsi. Quando il Garante chiede informazioni per verificare la fondatezza delle denunce, i vertici rispondono affermando intanto che il Senato accademico e il Consiglio di amministrazione avevano approvato il regolamento di utilizzo della rete internet e della posta elettronica, comunicandolo a tutto il personale docente e non docente; e che le operazioni di “controllo, filtraggio, monitoraggio e tracciatura delle connessioni e dei collegamenti ai siti internet esterni” venivano effettuati soltanto in caso di diffusione di virus e di software maligno. Insomma, solo per auto-protezione.
Ma dalle dichiarazioni del responsabile del trattamento dei dati emergono molte contraddizioni e soprattutto il Garante accerta che, al contrario, l’Ateneo spiava costantemente i computer dei suoi dipendenti. Ma soprattutto stabilisce che nessun regolamento può aggirare quanto stabilisce il Codice e che non possono essere utilizzati strumenti che controllino l’attività lavorativa, anche se installati per conseguire elevati standard di sicurezza della rete aziendale. E poi l’Ateneo conservava i dati, un aspetto che non risultava per niente necessario alla finalità di protezione e sicurezza informatica.
Insomma, l’Università si è arrampicata sugli specchi e alla fine il Garante ha spedito il dossier in procura.
ps1: una bella rivincita per i dipendenti e per i docenti.
ps2: con la class action si prepara un’altra guerra intestina memorabile, altro veleno sull’Ateneo più chiacchierato d’Abruzzo.