
·Io sono giudice·
Sono giudice e devo giudicare
quest’uomo di 54 anni, che, certo,
ha fatto del male.
Ha ucciso il figlio, ventiduenne disabile grave,
non sopportando l’idea che domani
da solo potesse restare.
Erano in due, dopo che lei, morta per tumore,
solamente al cimitero e nelle foto,
da un anno, potevano incontrare.
Non si guarisce, e forse è questo,
a togliere coraggio, speranza
e il resto.
Sono giudice e devo giudicare
quest’uomo, che, certo,
ha fatto del male.
Incapacità, caso fortuito, incidente?
Purtroppo non si può fare niente.
Era ubriaco, sì, ma per darsi coraggio,
e il reato, dice il codice penale,
in questi casi è anche peggio.
Provo a cercare un vizio formale,
per scansare dall’anima
il peso morale;
tanto sempre a me deve tornare,
a me che sono
il suo giudice naturale.
Penso al carnevale, alle feste di Natale,
al vestito della prima elementare,
alle notti insonni per capire e lottare.
Sono giudice e devo giudicare,
quest’uomo che non so più
se l’ha fatto per male,
anche se, oramai è chiaro,
non si scappa
dall’omicidio volontario.
Ha tentato il suicidio, è lui stesso ad invocare
una condanna
che lo faccia star male,
pagare la responsabilità
di questo brutto affare.
Un Dio buono saprà capire, perdonare, riunire,
e magari, finalmente,
pure guarire.
Sono giudice e devo condannare
quest’uomo ad almeno
24 anni di reclusione.
Eppure non riesco a giudicare
quest’uomo, che, sentite cosa vi dico,
forse l’ha fatto anche per amore.