
·Archiviazione per il contratto d’oro·
Era una storia che aveva fatto gridare allo scandalo, quella della super retribuzione al direttore generale dell’Ersi Tommaso Di Biase, e non solo perché il dg era un fedelissimo dell’ex governatore Luciano D’Alfonso ma perché il super stipendio fu generato da una modifica dello statuto dell’ente. Ora il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Teramo, Roberto Veneziano, accogliendo la richiesta del Pubblico ministero Laura Colica, ha archiviato le accuse di abuso d’ufficio, nei confronti dello stesso Di Biase, di Daniela Valenza (all’epoca presidente dell’ente e ora commissario dell’Aric), Roberto Di Marco, Ilario Lacchetta, Ottaviano Alfonso (componenti del consiglio direttivo) e di Luciano Di Biase (direttore provvisorio), reo di aver concorso nel reato.

L’inchiesta era stata aperta a marzo dello scorso anno, sulla base del presupposto che tutti gli indagati avevano abusato del loro ufficio “e in violazione di norme di legge e regolamento, intenzionalmente procuravano a Tommaso Di Biase un ingiusto vantaggio patrimoniale, conferendogli illegittimamente l’incarico di direttore generale dell’Ersi Abruzzo con una retribuzione annua non inferiore a 100 mila euro (quindi non a titolo gratuito), nonostante il Di Biase alla data del conferimento dell’incarico e poi alla data di stipula del contratto avesse superato il limite di età di 66 anni e 7 mesi”. Anche Di Biase era stato indagato “concorrendo nel reato – concludeva la procura – avvantaggiato illegittimamente, sottoscrivendo il contratto di assunzione oltre i limiti di età previsti dalla legge”.
Ma ora il giudice, dopo avere dato atto al consiglio direttivo di avere chiesto reiterati pareri su una materia molto controversa, ha rilevato che
“la complessa disciplina normativa in disamina risenta di comprensibili incertezze e consolidati contrasti interpretativi, involgendo verso conclusioni che non agevolano la condivisione della tesi secondo cui si sia in presenza di una comprovata e ragionevole violazione di legge, supportata da un plausibile livello intenzionale di dolo”.
Insomma, secondo il gip
“le valutazioni di illegittimità espresse non possono integrare un ulteriore approfondimento investigativo né possono legittimare un proficuo prosieguo dibattimentale”.

Nell’esposto presentato dalla dirigente regionale Sebastiana Parlavecchio, che aveva impugnato la nomina di Di Biase anche davanti al Tar, si faceva riferimento a presunti favoritismi e in particolare alla delibera con la quale, nel febbraio 2017 la giunta regionale due mesi prima dell’incarico all’architetto pescarese, aveva approvato una modifica che attribuiva al futuro direttore generale uno stipendio d’oro. Insomma, una forzatura, visto che il trattamento economico di un direttore generale non può essere definito da uno Statuto ma deve farlo la legge istitutiva dell’ente; e poi perché alla retribuzione veniva aggiunta una indennità ad personam non legata ai risultati ma alla “specifica qualificazione professionale, anche in considerazione della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato”. Ma non solo: in quell’occasione vennero introdotti anche i nuovi criteri di selezione del direttore generale: intanto veniva prevista la laurea ma non la specializzazione nel servizio idrico integrato, e poi venne stabilito che “l’incarico è conferito tramite contratto a tempo determinato di diritto pubblico o con contratto di diritto privato al di fuori della dotazione organica dell’Ersi”.
Modifica che consentì a Di Biase di candidarsi.

Al riguardo il giudice ha osservato che
“in qualche passaggio dell’attività di indagine sembrano delinearsi in penombra spunti evocanti la interazione di poteri forti e personaggi oscuri legati al sistema di relazioni non lecite”, ma ha concluso che si tratta di “aspetti vanescenti e fumosi, che non sono emersi con valenza euristica e non potrebbero essere oggetto di ricerca postuma”.