maperò – Il blog di Lilli Mandara
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  • ·L’ultimo scatolone·

    Postato il 10 Gennaio 2021
    A cura di Marco La Greca

    Attacco il nastro adesivo sull’ultimo scatolone e noto i consistenti strati dei precedenti imballaggi, uno per ogni anno. Proprio mentre sulla playlist, avviata in modalità casuale, arriva il momento di Guccini che canta “O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia”. 

    Con mia moglie abbiamo cominciato quando siamo andati a vivere insieme: l’8 dicembre, o giù di lì, al limite prima, mai dopo, montavamo albero e il presepe, che il 6 gennaio smontavamo. Quell’anno, molti anni fa, il primo imballaggio, precisamente nel giorno dell’Epifania, che tutte le feste porta via. Era stato il primo Natale sotto lo stesso e nostro tetto. Poi sono venuti il primo Natale da sposati, con nostra figlia, nella casa nuova, con nostro figlio; il primo Natale con loro a scuola, sul passeggino, poi sulle loro gambe, con il primo dentino caduto, sapendo leggere, avendo imparato ad andare in bicicletta e via crescendo. E’ stato con loro e grazie a loro se abbiamo dato corpo a un desiderio anche nostro, latente e inespresso, quello del “Ma chi l’ha detto che il 6 gennaio bisogna togliere tutto?”. A loro, ai bambini, dava dispiacere, quasi dolore, a noi forse pure, e, seguendo la traccia del desiderio infantile, conscio o inconscio, abbiamo cominciato a protrarre gli addobbi, le feste. Potrei sbagliarmi, e però mi sembra che un anno addirittura siamo andati avanti sino a fine gennaio. Abbiamo continuato anche quando è cominciato ad arrivare qualche Natale, per la prima volta, “senza”. Senza qualcuno, qualcosa, molto. E’ allora anche per compensare, forse, che continuiamo a tirare per le lunghe. Per compensare, per tenere, mantenere, ricordare.

    Ecco, ho attaccato il nastro adesivo sull’ultimo scatolone. Arriverà il momento, mi dico, in cui dovrò togliere questi strati precedenti per riuscire a chiudere lo scatolone. Questi stessi scatoloni che all’inizio erano uno, forse due, e ora sono otto, forse di più, con le scritte “Luci Natale”, “Presepe”, “Presepe bimbi”, “Luci bimbi”, “addobbi vari” e via annotando. Cambieremo e aggiorneremo le scritte. Intanto Guccini ha finito di cantare “O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia”. La casa ora sembra spoglia. Più tardi, aiutato dai ragazzi, porterò tutto in cantina. Tornando su, mi parrà tutto più triste. Ma durerà un po’, qualche ora. Il tempo di andare a dormire, svegliarsi e riandare a dormire. Poi cercheremo e troveremo il calore nel quotidiano. La carezza della normalità. In un periodo che di normale non ha proprio nulla, è questo il vero Natale.


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  • ·Staff e giacche, quanti sprechi·

    Postato il 9 Gennaio 2021

    Come in un ministero, anzi di più. Sono quindici le persone dello staff del sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi e degli organi di direzione politica, quindici contratti che sono stati  prorogati con una determina del 18 dicembre scorso e costeranno alle casse comunali la bellezza di 257 mila euro e rotti solo per il 2021. In dodici avranno il contratto prorogato fino al 31 dicembre prossimo e in tre, purtroppo per loro, fino al 28 febbraio.

    Tanti, tantissimi soldi per un Comune che ha un bilancio non proprio rose e fiori, che vive come tutto il Paese una gravissima crisi economica accentuata dalla ferita del terremoto e da una ricostruzione non ancora completata e che ha visto moltiplicare negli ultimi mesi il numero delle famiglie in stato di povertà. E che, in aggiunta, non è riuscito a fornire una risposta dignitosa all’emergenza Covid e alle condizioni di sofferenza dell’ospedale San Salvatore. 

    Il sindaco Pierluigi Biondi

    Un Comune che spende e spande senza tener conto del senso della misura e dell’etica, vista anche l’ultima inutile spesa del sindaco Biondi: 17.600 euro per l’acquisto di giacche di marca (la Salewa, tra le più ambite per gli appassionati di montagna, ognuna dal costo di 300 euro), che sarebbero dovute servire al personale dipendente impegnato nello screening di massa effettuato nel capoluogo a inizio dicembre e arrivate però a screening completato. L’unica giacca che è stata utilizzata finora, così come denuncia in un comunicato il capogruppo Idv Lelio De Santis, è quella vista addosso al primo cittadino in alcune foto social.

    Quanta eleganza, e quanti sprechi.

    Giacche e contratti, come quelli dei quindici collaboratori, ai quali è stato prorogato il contratto, compreso un portavoce, quando nella pianta organica del Comune dell’Aquila esiste già un addetto stampa.

    Un numero degno di un ministero.


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  • ·Come eravamo·

    Postato il 27 Dicembre 2020
    A cura di Marco La Greca

    Il messaggio mi arriva di notte, via e-mail, dal mio amico Massimo, ritrovato di recente grazie a Facebook: “Ciao Marco, buona visione”. In allegato un file: “Capodanno 1992/1993”. 

    Morso da una curiosità canaglia, ho subito avviato il video e mi sono ritrovato in una delle ultime feste di Capodanno prima del nuovo millennio. 

    In sottofondo la musica di allora: il blue’s di Wilson Pickett e Otis Redding. Gli U2 di Achtung Baby. Poi Vinicio Capossela e Fred Buscaglione. L’esibito ribellismo dei Litfiba, le atmosfere alternative di Manu Chao, il post punk dei Cure, le incursioni nel Fossati rinnegato de “La mia banda suona il rock”. Poi “Heroes” e “Jumping Jack Flash”. Insomma un po’ di tutto e non proprio la musica di allora, ma la musica che allora ascoltavano dei ragazzi 22/23/25enni di media cultura ed astrazione sociale, un po’ romani e un po’ reggiani. Ci eravamo conosciuti due anni prima, in Grecia. Ne era nata un’amicizia che ci aveva portato a condividere, tra l’altro, almeno un paio di passaggi d’anno, estesi alle rispettive comunità di amici. 

    Ci sentivamo alternativi, diversi soprattutto dai nostri genitori. Alle pareti i manifesti di “Apocalypse now” e il “Cacciatore”. Cinema Holliwoodiano, anche se di spessore, perché l’America era sempre l’America, con i suoi miti, a volte perdenti, ma affascinanti.

    Eravamo uomini o donne, ma ci sentivamo ragazzi, forse perché vivevamo ancora con i genitori che ci avevano cresciuto.
    “Roni, ma è finita la birra?”. Sì, la birra. Al vino siamo arrivati dopo. Il Prosecco, poi, che io ricordi, non lo voleva nessuno. E comunque Roni non aveva finito la birra, di questo sono sicuro.

    Ho preso in giro le nuove generazioni, i ragazzi nati molti anni dopo quel Capodanno, che spesso ho visto giocare a carte. Eccoci pure noi attorno al tavolo, impegnati in sfide che non hanno certo il fascino dannato del gioco d’azzardo. Innocue briscolette.

    Sapevamo di essere ripresi dalla videocamera, ma facevamo finta di niente. Giusto ogni tanto qualche battuta a favore di inquadratura. A differenza dei ragazzi di oggi, abilissimi a parlare, ballare e recitare nei video che girano con maestria a noi ignota.

    Era la fine del 1992 e facevamo delle facili, con gli occhi di oggi pure un po’ becere ironie  sul Partito Socialista. C’è Andrea che imita Intini ed io gli chiedo di chiarire dove si annidino le “sacche di socialismo reale”, volendo parafrasare la terminologia che la propaganda del PSI usava nei confronti del PCI/PDS. Di Intini ho letto un libro, di recente, sulla storia de “l’Avanti”; se potessi, vorrei fargli sapere quanto quel testo mi abbia appassionato.

    Eravamo dei 22/23/25enni tutto sommato morigerati. Ci sentivamo alternativi, ma gli eccessi, ammesso che si debba necessariamente passare per quella fase, già alle spalle.

    L’atmosfera nel complesso trasmessa da quelle immagini è di tranquillità, di fiducia, come generazione e come paese. Eravamo figli di persone che lavoravano e stavano meglio dei lori genitori. Ci sentivamo diversi, ma convinti che pure noi avremmo trovato una nostra dimensione lavorativa che ci avrebbe portato a stare meglio dei nostri genitori. Leggo questa convinzione nei nostri occhi, sui quali ogni tanto stringevano le inquadrature. 

    Pensavano di sapere, quegli occhi, e non sapevano nulla. Sapevano solo quello che avevano visto, cioè poco. E nulla di ciò che sarebbe stato. 

    Non mi riferisco all’attualità pandemica. Per ritrovare degli occhi inconsapevoli del Covid-19,  basterebbe sfogliare le foto del Capodanno dell’anno scorso. Gli occhi del 1992 non sapevano, non potevamo immaginare il molto altro che da allora a oggi è successo. 

    Ad esempio la tecnologia che ora pervade il nostro quotidiano: internet, le email, l’e-commerce, lo smartphone e lo smart working. Le trasformazioni geopolitiche ed economiche. L’Italia così diversa da come era quando eravamo nati, alla fine degli anni ’60.   

    E poi gli episodi e le circostanze della vita di ognuno: gioie e lutti, unioni, allontanamenti, arrivi, addii.

    Quegli occhi non sapevano. Non potevano nemmeno immaginare. Però guardavano avanti.

    E’ così anche ora, che il tempo alle spalle è di più di quello che abbiamo davanti. Sappiamo un po’ quello che è stato, non quello che sarà. E vale la pena scoprirlo, tanto o poco che sia. Dando a ogni passaggio d’anno il senso dell’immagine montata sul finale del video che, 28 anni dopo, mi ha mandato il mio amico Massimo. 

    Un’alba, la luce tenue su un paesaggio sconosciuto. 

    Il miracolo di una nascita. 

    La rinascita.


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  • ·E rispunta Maltauro·

    Postato il 18 Dicembre 2020

    E’ il 19 novembre scorso quando il direttore del Dipartimento Sanità della Regione Abruzzo Claudio D’Amario scrive alla Asl di Chieti per sapere a che punto sia l’operazione Maltauro, il project financing da svariati milioni di euro per la realizzazione del nuovo ospedale di Chieti. 

    D’Amario con l’assessore Verì

    Siamo in piena pandemia, con l’ospedale di Avezzano in gravissima emergenza e i pazienti accalcati sotto un tendone che poi crollerà sotto il peso della pioggia, con L’Aquila che tocca il picco di positivi, e perdipiù è da poco uscita la decisione del Tar che ha respinto il ricorso della società Icm e ha invitato “le pubbliche amministrazioni coinvolte ad accertare la sussistenza della effettiva sostenibilità economico-finanziaria della proposta”.

    Eppure, anche questa volta ma con protagonisti diversi (di colore politico), si ripropone la stessa altalena che si era verificata ai tempi della giunta D’Alfonso. La Asl di Chieti risponde per le rime a D’Amario: non c’è un euro in cassa, aspetto che la Regione avrebbe dovuto conoscere perfettamente anche perché a luglio scorso, con la delibera 290, l’assessore alla Sanità Nicoletta Verì aveva “soppresso la disposizione afferente la destinazione delle risorse in eccesso nel bilancio Gsa (gestione sanitaria accentrata) al contributo pubblico per la realizzazione del nuovo presidio ospedaliero di Chieti”, affermando che lo stesso contributo sarebbe stato garantito “mediante l’utilizzo di ulteriori risorse derivanti dall’articolo 20 legge 67/1988″, e cioè dalle risorse destinate a edilizia sanitaria e tecnologie.

    Il manager Schael con la Verì

    E’ una nota secca e dal tono ultimativo quella inviata da D’Amario alla Asl di Chieti:

    “In riferimento all’oggetto (procedura di project financing per la nuova costruzione, demolizione e ristrutturazione dell’ospedale clinicizzato SS.Annunziata di Chieti e alla gestione di alcuni servizi non sanitari e commerciali di Icm spa e da App Nocivelli spa), si chiede, anche al fine di produrre una compiuta relazione in merito al Tavolo di monitoraggio delle regioni in piano di rientro congiunto al Comitato Lea, una relazione sull’eventuale avanzamento della procedura de qua, per quanto di competenza della ricevente azienda”.

    Il direttore della Sanità quindi fa riferimento anche all’affidamento alla società dei servizi non sanitari e commerciali, sul quale in passato c’era stato un violento scontro tra Asl e Regione e anche all’interno della stessa maggioranza di centrosinistra.

    Dopo 4 giorni arriva la risposta del manager della Asl di Chieti Thomas Schael, del direttore amministrativo Giulietta Capocasa e del direttore sanitario aziendale Angelo Muraglia (che occupava il posto di D’Amario alla direzione Sanità quando assessore era Silvio Paolucci e fu avviato l’iter per Maltauro), che ricorda in primo luogo che la procedura era stata incardinata in ambito regionale (ai tempi della giunta D’Alfonso, che avocò a sé la pratica), “extra ordinem e in surroga di questo ente” e che in ogni caso anche il rup regionale aveva ribadito, come quello della Asl, che la proposta era condizionata “alle disponibilità finanziarie”.

    “In buona sostanza – spiega Schael nella sua lettera- tutte le previsioni e le statuizioni regionali subordinavano la fattibilità e l’avvio del procedimento a forme di copertura finanziaria, da reperire non solo nell’ambito delle economie di spesa riferibili alla Gsa, ma anche dalle tre cartolarizzazioni”. 

    Strumenti, sottolinea la Asl di Chieti, ed è questo il punto più interessante, che “non hanno purtroppo avuto a tutt’oggi alcuna concreta attuazione” e quindi le eventuali carenze finanziarie e programmatorie “renderebbero la fattibilità della proposta priva dei necessari presupposti di sostenibilità economica e riverbererebbero perniciosi effetti sul prosieguo delle attività di evidenza pubblica, atteso il concreto rischio di ingenerare improprie aspettative”.

    Insomma, non ci sono soldi e quindi il progetto è fermo e tale resterà. 

    Anche perché i soldi necessari sono tantissimi. Li ricorda la Asl al direttore D’Amario: 30 milioni da corrispondere una tantum, sempre derivanti dal famoso articolo 20, a condizione che siano stati autorizzati dagli organi competenti; 12 milioni e 400 mila come canoni di disponibilità da corrispondere ogni anno per 25,5 anni, “a condizione che siano stati stanziati” e con oneri a totale carico della Regione Abruzzo.

    Solo lo scioglimento di tali riserve, chiarisce Schael, “potrà legittimamente far preludere alla formale indizione della relativa procedura di gara, fermo restando l’obbligo di valutare tutto ciò in coerenza con i fabbisogni assistenziali per la rete ospedaliera regionale, tuttora al vaglio dei competenti ministeri”.

    E infatti, da non sottovalutare per niente, la famosa rete ospedaliera. 

    La lettera si conclude ricordando alla Regione l’ordinanza con cui il Tar ha invitato le amministrazioni  a verificare la sostenibilità finanziaria della proposta. Cosa che la Regione evidentemente non ha fatto, continuando a bussare alla porta della Asl, come era successo in passato. 


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  • TAG: AbruzzoAsl ChietiClaudio D'AmarioD'Alfonsoletteraproject financing ospedale ChietiRegioneRisorseThomas Schael


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Direttore responsabile Adelina Mandara - Blog edito da Adelina Mandara - Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Pescara il 15-4-2016 n. 1

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